Sono in regime di TFR coloro che sono stati assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo il 30/12/2000

oppure con contratto a tempo determinato dopo il 30/5/2000; inoltre, per la scuola, hanno optato per il regime TFR quanti hanno aderito al Fondo Espero.

In seguito all’applicazione dell’art. 6 dell’Accordo Quadro del 29/7/1999, il DPCM 20/12/1999, integrato dal DPCM del 2/3/2001, ha disposto il mantenimento della discussa trattenuta per TFS anche a carico di coloro che sono in regime TFR, determinando un’evidente disparità di trattamento dei pubblici dipendenti rispetto ai dipendenti privati.

 Da una parte, il comma 2 dell’art. 1 del suddetto decreto, dispone che:

-          in “regime di trattamento di fine rapporto non si applica il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base retributiva previsto dall’articolo 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032. La soppressione del contributo non determina effetti sulla retribuzione imponibile ai fini fiscali.”.

Dall’altra, ai successivi commi 3 e 4, prevede che:

-          3. Per assicurare l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma 2, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto, a ogni fine contrattuale nonché per la determinazione della massa salariale per i contratti collettivi nazionali.

-          4. Per garantire la parità di trattamento contrattuale dei rapporti di lavoro, prevista dall’articolo 49, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, ai dipendenti assunti dal giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto, si applica la disciplina prevista dai commi 2 e 3.

In altri termini, il contributo previdenziale del 2,50% dell’80% della retribuzione, che è a carico dei dipendenti pubblici in regime di TFS, per quelli in regime TFR viene trasformato in una riduzione dello stipendio, stabilendo contestualmente un incremento della retribuzione ai fini previdenziali in misura pari alla riduzione.

Questo contorto meccanismo ha il solo scopo di poter continuare ad operare la trattenuta previdenziale anche per coloro che sono in regime TFR; giustificandola, in modo surrettizio, con l’esigenza di assicurare la stessa retribuzione netta sia ai dipendenti pubblici in regime TFR sia a quelli in TFS.

Le norme che hanno introdotto il TFR, nell’assicurare l’invarianza della retribuzione netta, hanno ignorato le differenze di trattamento economico che i due diversi regimi determinavano. Trattandosi di prestazioni diverse, infatti, appare logico che non vi sia alcun valido motivo di assicurare la stessa retribuzione.

Infatti:

-       il TFS costituisce una prestazione previdenziale, per la quale è ammesso il contributo a carico del dipendente; l’ammontare viene calcolato sulla base dell’ultimo stipendio mensile, prima della cessazione dal servizio;

-       il TFR costituisce una retribuzione accantonata e rivalutata annualmente, il cui pagamento è differito all’atto della cessazione dal servizio o lavoro; quindi “dovrebbe” essere interamente a carico del datore di lavoro, come appunto avviene per i dipendenti privati;

-       il TFS, soprattutto quando si ha una significativa progressione economica (per aumenti contrattuali, per passaggio di classe stipendiale, per passaggio a qualifica superiore), è più favorevole del TFR;

-       Il TFS gode di un regime fiscale nettamente più favorevole rispetto al TFR, anche ma non solo, perché la stessa trattenuta ai fini fiscali viene riconosciuta a coloro che sono in regime TFS ma non a quanti sono in regime TFR.

Per questi motivi appare chiaro che non vi è alcuna esigenza di assicurare l’invarianza della retribuzione netta.

A maggior ragione non vi è motivo di operare la discussa trattenuta a coloro che sono nella classe stipendiale 0 (quelli con un’anzianità retributiva inferiore a 9 anni) poiché sono tutti in regime TFR; la stessa cosa può dirsi per coloro che sono nella classe 9, dato che sono un numero irrilevante quelli in regime TFS.

In definitiva, ci sono validi motivi affinché coloro che sono in regime TFR possano chiedere l’abolizione di questa trattenuta previdenziale e la restituzione delle somme trattenute negli ultimi 10 anni, mediante la richiesta di dichiarare illegittimi i commi 2, 3 e 4 del DPCM suddetto.

Per coloro che sono in regime di TFR, a decorrere dal mese di aprile 2013, sul cedolino dello stipendio la trattenuta continua ad essere operata sotto la voce previdenziale “TFR art. 1 c.3 DPCM 20/12/1999”. Questo però non cambia la natura della trattenuta stessa e i motivi per chiedere l’abolizione.

Come ipotizzato da alcuni, non credo che la trattenuta possa essere operata e “scomparire” dai cedolini sottraendola direttamente all’ammontare lordo delle voci retributive, dal momento che l’importo lordo dello stipendio tabellare (quello fissato dal CCNL) e dell’IIS costituiscono la base di calcolo non soltanto per la pensione e il TFS ma anche per lo stesso TFR.

17/5/2013

Rosario Cutrupia